Confessioni di uno scrittore


A volte quelle mura lo tentavano a un bilancio e gli sembrava di avere ottenuto tutto quello che aveva sognato allora: diventare uno scrittore, uno che della fantasia sua e d’altri poteva fare materia prima della sua vita; amare una donna come quelle che si sognano nell’adolescenza e poi non si ha più il coraggio – “per intervento malvezzo di scetticismo,” diceva – di sognare; possedere le città che allora sconosciute sognava come vero regno degli uomini. Era orgoglioso di essere diventato un uomo di città in confidenza con le capitali d’Europa, a casa sua in tutte; ma non si trovava a casa, a casa sua. Di una cosa si vantava: “Non ho quello che non sognavo, che non conoscevo neppure come bisogno: il denaro o la potenza politica”.

Questi pensieri avrebbero dovuto esaltarlo, i ritorni a quel tavolo, a quella leopardiana finestra, avrebbero dovuto pacificarlo con la casa, col mondo della memoria, con la madre. Invece no; sempre teso, ispido, in polemica; sempre in apprensione di non vivere abbastanza, di non dare abbastanza. “Quel che ho avuto”, confessava, “il mio orgoglio come una terra secca e piena di crepe se lo beve e asciuga in un istante, e voglio di più.”

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Gli piaceva immaginare di essere un vecchio navigatore solitario “ed è per questo che l’amore è la mia vita,” scriveva; perché sa essere amante soltanto l’uomo che non patisce la solitudine, solo chi è cosciente della unicità di ciò che fa. “Anche lo scrivere, il lavoro creativo è una cosa che si affronta soli, come l’amore, ed è, come l’amore, comunicazione totale.”

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Il sentimento dominante in cui si era affilato nei suoi rapporti col mondo era l’odio per la limitatezza della gente mediocre, tema continuo della sua polemica e opposizione verso la società, nei suoi scritti e nella vita. “Ma sapessi quanto pesa su di me il logorio di vivere in un mondo limitato, in un mondo in cui occorre continuamente diffidare, difendersi, in cui occorre corazzarsi dell’amaro senso di chi è pronto a prendere dalla vita il male come il bene senza perdere la nozione della limitatezza d’ogni cosa.”

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“La ragione della mia incapacità a vivere in una famiglia è che le persone vicine occupano una parte tanto grande dell’orizzonte che la vista generale del mondo risulta turbata, e io mi contorco per vedere il mondo o sprofondando sotto le loro gambe o sporgendomi sopra le loro spalle.”


Elsa De Giorgi

4 pensieri su “Confessioni di uno scrittore

  1. Sei molto duro, cosa ti ha fatto di male la “mediocrità”? È un modo come un altro (il più comune) del dispiegarsi dell’essere dell’individuo in quanto tale

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    1. Per Italo Calvino (e io sono d’accordo con lui) mediocrità è proprio l’annullamento dell’individuo in quanto tale, che accetta di essere disciolto nella massa. Non credo si parli qui di incitamento al superomismo, ma piuttosto di disperazione di fronte alla rinuncia sistematica ad affermare il meglio di sé, per sé e per la società.

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