Quando ho iniziato la mia attività, il dovere di rappresentare il nostro tempo era l’imperativo categorico d’ogni giovane scrittore. Pieno di buona volontà, cercavo d’immedesimarmi nell’energia spietata che muove la storia del nostro secolo, nelle sue vicende collettive e individuali. Cercavo di cogliere una sintonia tra il movimentato spettacolo del mondo, ora drammatico ora grottesco, e il ritmo interiore picaresco e avventuroso che mi spingeva a scrivere. Presto mi sono accorto che tra i fatti della vita che avrebbero dovuto essere la mia materia prima e l’agilità scattante e tagliente che volevo animasse la mia scrittura c’era un divario che mi costava sempre più sforzo superare.
Forse stavo scoprendo solo allora la pesantezza,
l’inerzia, l’opacità del mondo:
qualità che s’attaccano subito alla scrittura,
se non si trova il modo di sfuggirle.
In certi momenti mi sembrava che il mondo stesse diventando tutto di pietra: una lenta pietrificazione più o meno avanzata a seconda delle persone e dei luoghi, ma che non risparmiava nessun aspetto della vita. Era come se nessuno potesse sfuggire allo sguardo inesorabile della Medusa. L’unico eroe capace di tagliare la testa della Medusa è Perseo, che vola coi sandali alati, Perseo che non rivolge il suo sguardo sul volto della Gorgone ma solo sulla sua immagine riflessa nello scudo di bronzo.
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Sul rapporto tra Perseo e la Medusa possiamo apprendere qualcosa di più leggendo Ovidio nelle Metamorfosi. Perseo ha vinto una nuova battaglia, ha massacrato a colpi di spada un mostro marino, ha liberato Andromeda. E ora si accinge a fare quello che ognuno di noi farebbe dopo un lavoraccio del genere: va a lavarsi le mani. In questi casi il suo problema è dove posare la testa di Medusa. E qui Ovidio ha dei versi (IV, 740-752) che mi paiono straordinari per spiegare quanta delicatezza d’animo sia necessaria per essere un Perseo, vincitore di mostri:
«Perché la ruvida sabbia non sciupi la testa anguicrinita (anguiferumque caput dura ne laedat harena), egli rende soffice il terreno con uno strato di foglie, vi stende sopra dei ramoscelli nati sott’acqua e vi depone la testa di Medusa a faccia in giù.» Mi sembra che la leggerezza di cui Perseo è l’eroe non potrebbe essere meglio rappresentata che da questo gesto di rinfrescante gentilezza verso quell’essere mostruoso e tremendo ma anche in qualche modo deteriorabile, fragile. Ma la cosa più inaspettata è il miracolo che ne segue: i ramoscelli marini a contatto con la Medusa si trasformano in coralli, e le ninfe per adornarsi di coralli accorrono e avvicinano ramoscelli e alghe alla terribile testa.
Italo Calvino