Più di qualunque cosa avessi sperato in un altro mondo


Il più delle volte, in quel modo scomposto e annoiato che le era abituale, Lo si lasciava cadere, prostrata e atrocemente desiderabile, su una poltrona rossa, su una sdraio verde, su una chaise-longue a strisce con poggiapiedi e baldacchino, su un dondolo o su un qualsiasi altro tipo di sedia da giardino sotto un ombrellone sulla veranda, e mi ci volevano ore di blandizie, minacce e promesse per convincerla a prestarmi per pochi secondi le sue membra brune, nell’intimità della camera da cinque dollari, prima di fare tutto ciò che lei poteva preferire al mio misero piacere.

Con quella sua mistura di ingenuità e malizia, di grazia e volgarità, di bronci lividi e di rosei scoppi di risa Lolita poteva essere, quando voleva, una mocciosa davvero esasperante. Non ero preparato ai suoi attacchi di noia sciamannata, ai suoi intensi, veementi brontolii, a quella sua abitudine di stravaccarsi ovunque con lo sguardo ostentatamente torpido e quella sorta di smargiasseria diffusa che lei riteneva «tosta» alla maniera dei teppistelli di periferia. Da un punto di vista mentale scoprii che era una bambina disgustosamente convenzionale.

***

Da qualche parte, dietro la baracca di Bill, una radio accesa dopo il lavoro aveva cominciato a cantare di fato e follia, e lei era lì, con la sua bellezza distrutta, le mani strette e le vene in rilievo, da adulta, e le braccia bianche con la pelle d’oca, e le orecchie appena concave, e le ascelle non rasate, era lì (la mia Lolita!), irrimediabilmente logora a diciassette anni, con quel bambino che già sognava, dentro di lei, di diventare un pezzo grosso e di andare in pensione intorno al 2020 – e la guardai, la guardai, e seppi con chiarezza, come so di dover morire, che l’amavo più di qualunque cosa avessi mai visto o immaginato sulla terra, più di qualunque cosa avessi sperato in un altro mondo. Di lei restava soltanto il fievole odor di viole, l’eco di foglia morta della ninfetta sulla quale mi ero rotolato un tempo con grida così forti; un’eco sull’orlo di un precipizio fulvo, con un bosco lontano sotto il cielo bianco, e foglie marrone che soffocano il ruscello, e un solo ultimo grillo fra le erbacce secche… ma grazie a Dio io non veneravo soltanto quell’eco. Ciò che solevo vezzeggiare fra i tralci intricati del mio cuore, mon grand péché radieux, si era ridotto alla propria essenza; il vizio sterile ed egoista, quello lo cancellai e lo maledissi. Potete anche schernirmi e minacciare di far sgombrare l’aula, ma finché non sarò imbavagliato e mezzo strangolato urlerò la mia povera verità. Insisto perché il mondo sappia quanto amavo la mia Lolita, quella Lolita, pallida e contaminata, gravida del figlio di un altro, ma sempre con gli occhi grigi, sempre con le sopracciglia fuligginose, sempre castano e mandorla, sempre Carmencita, sempre mia; Changeons de vie, ma Carmen, allons vivre quelque part où nous ne serons jamais séparés; Ohio? Le plaghe desolate del Massachusetts? Non importa, anche se quei suoi occhi si fossero sbiaditi come quelli di un pesce miope, e i suoi capezzoli si fossero gonfiati e screpolati, e il suo adorabile, giovane delta vellutato e soave si fosse corrotto e lacerato… anche così sarei impazzito di tenerezza alla sola vista del tuo caro viso esangue, al solo suono della tua giovane voce rauca, Lolita mia.


Vladimir Nabokov

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