Il vivere sempre alla presenza di se stesso, sulla punta della spada, e l’incantarsi davanti alla vita, bloccata in episodi chiusi e stupendamente nostalgici, del suo paese, era forse dovuto al suo essere in parte straniero.
Il nobile sangue ravennate di suo padre (nella sua immaginazione: un vecchio palazzo nel cuore di Ravenna, consunto e sbiadito come in una vecchia stampa, e poi, dietro a una rapida e accorata visione di mare – Porto Corsini –, un interno, rosso e malinconico nel suo fasto ottocentesco, dove una vecchia contessa sua remota parente conversa con il Carducci) era venuto a confluire con il sangue casarsese dei Colussi (a sua volta, nell’immaginazione: un vecchio borgo del paese, grigio e immerso nella più sorda penombra di pioggia, popolato a tento da antiquate figure di contandini e intronato dal suono senza tempo della campana).
Ma sua nonna, la madre di sua madre, proveniva da Casale Monferrato; un Piemonte dipinto di rosa acceso, come nell’Atlante della sua infanzia che avvolgeva di una scorza ardente e preziosa, le immobili vicende della famiglia di sua nonna: una casa di ricovero, una festa da ballo, sua nonna giovinetta che si pettinava, una casa svuotata, ingigantita e annerita dalla miseria. Ma dalle colline del Monferrato, che gli non aveva mai visto, alitava nella sua vita una brezza verde e serena, conservata come artificialmente in una memoria senza più funzione, sopravvissuta. Era a questo punto, quando pensava al nome Monferrato, nome guerresco, a cui poi si fondeva qualche ferrea vicenda feudale – appresa per caso con lieto orgoglio al Ginnasio – che si presentava nella sua immaginazione ormai tradizionale la Polonia. La bisnonna di una madre era infatti una ebrea polacca – da cui sua madre aveva ereditato il nome di Susanna – sposata a portata in Friuli da un suo antenato, soldato di Napoleone. La Polonia che così automaticamente e felicemente compariva ai suoi occhi di ragazzo, era di un colore grigio-topo, ed era tutta venata di tinte e musiche risorgimentali: ad un tratto si squarciava e nel suo centro si formava la vecchia immagine del suo trisavolo, che in mezzo a una calcinante distesa di neve, uccide il suo cavallo, gli squarcia la pancia e vi si caccia dentro per ripararsi dal freddo mortale.
Pier Paolo Pasolini