Non perde il frutto di Venere chi evita amore,
ne deliba piuttosto le gioie e ne schiva gli affanni.
La voluttà è più limpida ai savi che ai miseri dissennati.
Infatti proprio nel momento del pieno possesso,
fluttua in incerti ondeggiamenti l’ardore degli amanti
che non sanno di cosa prima godere con gli occhi e le mani.
Premono stretta la creatura che desiderano, infliggono dolore
al suo corpo, e spesso le mordono a sangue le tenere labbra,
la inchiodano coi baci, poiché il piacere non è puro,
e vi sono oscuri impulsi che spingono a straziare l’oggetto,
qualunque sia, da cui sorgono i germi di quella furia.
Attenua appena il tormento Venere nell’atto d’amore,
mitiga il morso, cui è mista, la gioia dei sensi.
In ciò è la speranza, che dalla forma corporea medesima,
fonte del nostro ardore, possa anche essere estinta la fiamma.
Ma che ciò avvenga la natura nega recisa;
amore è l’unica cosa nella quale più è grande il possesso,
più il cuore arde d’un desiderio feroce.
Tito Lucrezio Caro