«Io ho sempre detto che non era per spirito nazionalistico, e nemmeno per il cosidetto amor di patria che desideravo di andare in guerra, ma soltanto perché sentivo di dover partecipare anch’io a questo grande destino di dolore che ha colpito tutta la nostra generazione. Ecco perché il mio posto non poteva essere che vicino all’umile fante, non poteva essere che in prima linea, perché là soltanto si conosce e si soffre in tutta la sua realtà di dolore la guerra.
Chi non è mai stato in prima linea non sa cosa significhino le lunghe notti di ansia e di allarme, né le lunghissime giornate che precedono il preannunciato attacco, né sopratutto il tormento dei bombardamenti di artiglieria e dei mortai, che ogni tanto uccidono qualcuno al tuo fianco e ti mettono attorno l’esatta impressione o addirittura l’incubo di essere “uno che sta aspettando il proprio turno” Solo in prima linea si capisce interamente quanto è brutta e assurda e inumana la guerra, e lo si capisce in maniera così definitiva che non c’è più pericolo di considerare con leggerezza il problema della guerra.
Io credo insostenibile la posizione di coloro che stimano di poter giudicare se la guerra è giusta o ingiusta, ed eventualmente di poter sottrarsi al comune destino, magari rammaricandosi che non ci sia invece un’altra guerra, contro un altro nemico, ché allora, dicono diventerebbero feroci. La guerra è un grande fatto ben superiore alle piccole volontà degli uomini che appaiono averla voluta, ben superiore agli scopi particolari più o meno chiaramente confessati delle singole parti. Tanto è vero che questi stessi scopi subiscono delle profonde mutazioni nel corso stesso della guerra, come conseguenza naturale dell’estendersi dell’esperienza di dolore, e del suo aggravarsi e appesantirsi.
Così uno che si sottragga ai compiti che gli vengono affidati in guerra tradisce la solidarietà umana, spezza il legame che lo stringe agli altri, e in sostanza contraddice per vigliaccheria alla legge morale fondamentale, che è il fondamento di tutta la vita, e che naturalmente noi dobbiamo rispettare ancor più se è possibile in guerra che in pace».
Gino Ferroni