Quoziente d’intelligenza


Il giovane turista americano che mi chiede un passaggio di pochi chilometri è uno studente di Harvard. Conosce il francese e l’italiano, non dev’essere insomma l’ultimo della classe. Si interessa anche di letteratura. Di libri italiani ha letto, tradotti, il Decameron e la Vita di Benvenuto Cellini, che sono gli unici testi italiani, assieme al Dante’s Inferno, inclusi nelle collezioni universali anglosassoni. Ha letto anche testi francesi, nella lingua originale, ma ora ha smesso. Me ne dà la seguente giustificazione: «Col mio quoziente d’intelligenza io riesco a leggere circa settanta pagine l’ora in inglese. Perciò non posso perdere tempo con una lingua come il francese, che mi permette al massimo trenta pagine l’ora» Lo guardo pieno di ammirazione: «E, mio Dio, perché legge?». Risposta: «Per rilassarmi». Dopo un lungo silenzio mi domanda: «Lei non ha realmente paura di essere aggredito da me?». Gli rispondo che da un tipo come lui ormai posso aspettarmi tutto, fuorché un’aggressione. Sembra deluso: «Perché?». «Perché» dico «lei ha un alto quoziente d’intelligenza e non aggredisce portandosi appresso un sacco da montagna, una macchina fotografica e uno scatolone». Lo studente ride e si congratula del mio senso poliziesco: «Sì,» dice «quando uno fa veramente un colpo bisogna avanti tutto avere le mani libere e poi non lasciare tracce». È diventato pensoso e infine scatta trionfante: «Però nello scatolone potrei avere un fucile!». Poiché lo guardo, ride sgangheratamente: «No, io scherzo, niente fucile, solo bellissimi souvernirs italiani per la mia famiglia». E apre lo scatolone: è pieno di borse, borsellini, portacarte, portacipria in cuoio lavorato, a ghirigori, con enormi gigli fiorentini e vedute di monumenti, insomma paccottiglia.


Ennio Flaiano

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