Ed ecco che entra nella platea un ossesso, con gli occhi dolci
e ridarelli,
vestito come i Beatles.
Mentre grandi pensieri e grandi azioni
sono implicati nel rapporto di questi ricchi con lo spettacolo,
fatto anche per lui, egli col suo dito magro di cavallino delle giostre,
scrive il suo nome «Ninetto»,
nel velluto dello schienale (sotto una piccola nuca orecchiuta
contenente le norme del comportamento e l’idea della borghesia libera).
Ninetto è un messaggero,
e vincendo (con un riso di zucchero
che gli sfolgora da tutto l’essere,
come in un mussulmano o un indù)
la timidezza,
si presenta come in un areopago
a parlare dei Persiani.
I Persiani, dice, si ammassano alle frontiere.
Ma milioni e milioni di essi sono già pacificamente immigrati,
sono qui, al capolinea del 12, del 13, del 409, dei tranvetti
della Stefer. Che bei Persiani!
Dio li ha appena sbozzati, in gioventù,
come i mussulmani o gli indù:
hanno i lineamenti corti degli animali,
gli zigomi duri, i nasetti schiacciati o all’insù,
le ciglia lunghe lunghe, i capelli riccetti.
Il loro capo si chiama:
Alì dagli Occhi Azzurri.
PierPaolo Pasolini