Il viaggiatore diretto a Manarola ha tre modi per accedere alla città: dal mare, se quel giorno le onde che si insinuano nello stretto porticciolo ricavato tra due creste di scogli si limitano a lambire, anziché schiaffeggiarli come fanno di solito, i ripidi scalini dell’approdo; dal sentiero di fango secco e roccia che uomini antichi e pazienti hanno intagliato nei secoli e nelle alture che incoronano l’abitato di ulivi e vigne; e dalla ferrovia, che è stata inoculata, lucida e fredda come un gigantesco ago, nel cuore della montagna da uomini meno antichi e assai meno pazienti.
Ciascuna via rappresenta una scelta precisa e, per quanto inconsapevole, definitiva: Manarola, con i suoi radi abitanti, i suoi tanti scafi lasciati in secca per le poche vie e le sue miriadi di linee verticali e orizzontali, si mostrerà agli occhi del viaggiatore assumendo le sembianze proiettate da una prima impressione. Conta quindi, più di tutto, la predisposizione d’animo che induce a entrare e a dipanare quella tela, che in fondo è sempre uguale a se stessa.
Venendo dal mare, che anche quand’è calmo si stira e si ritrae e si rigira come un immenso animale dal sonno inquieto, Manarola, specie se fluttuante in un tramonto d’inizio inverno, sarà una scaglia di roccia rossastra bucherellata da centinaia di spioncini rettangolari, ciascuno affacciato su altrettanti minuscoli mondi, dove a voler sbirciare fanno capolino pentole di rame che borbottano sui fuochi, tende di corda tintinnanti di ninnoli e animaletti di legno, caviglie di donna insaponate che sbucano da ampie e vaporose bagnarole, e acri profumi che si mescolano all’aroma discreto che impregna gli orti pensili stretti tra i tetti del borgo alto.
Venendo dallo scosceso sentiero, che in certi tratti sembra voler catapultare il viaggiatore sulla città, Manarola parrà invece una scacchiera terremotata, uno stinto plaid disteso su un mucchio di scalinate decrepite che salgono e scendono e si incrociano alla rinfusa, dove un leggero brulicare di passi dischiude un andirivieni quasi clandestino di ombre che si salutano, si evitano, si allontanano, spariscono presto dalla luce fioca dei lampioni nella sera o del sole nei caruggi, e confondono la mente dell’osservatore, il quale non sarà più certo di averle viste davvero.
Venendo dalla ferrovia, e dunque dalla stazione dei treni, che obbedendo alle leggi della natura e dell’ingegneria è un timbro d’acciaio e cemento sulla schiena del cumulo roccioso su cui siede la città, un razionale susseguirsi di punti di sutura sul fianco della costa, dal quale si può sgusciare solo percorrendo a piedi una lunga, liscia galleria vibrante di neon, Manarola svanirà nella forma di un desiderio, ovvero di un luogo che non è mai stato e forse non sarà mai, se non nell’indefinito spazio di un ricordo.
Adoro questi borghi abbarbicati e quasi inaccessibili. Il fatto di avere sotto le case il rumore delle onde e il profumo salmastro, poi, è impagabile. Peccato che anche le 5 terre siano prese d’assalto da turisti non sempre rispettosi…
Buon fine settimana
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Hai ragione sulle invasioni barbariche. Anche per questo amo andarci in questa stagione, possibilmente in giorni non sospetti. La luce di novembre esalta i borghi, che ti accolgono quieti e silenziosi, e una buona osteria dove mangiare cozze ripiene alla spezzina la trovi sempre
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Anch’io preferisco andare fuori stagione, anche semplicemente al mare, a passeggiare sulla spiaggia deserta.
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Metà novembre è sempre il periodo de ” In viaggio col saccente”. Pensa che leggendo le primissime righe stavo iniziando a chiedermi: ma qual è sta città Manarola nel libro… Non me la ricordo… Poi ho realizzato che l’avevi scritto tu, ed è un bellissimo omaggio a quel libro di cui ti stavo suggerendo di riportare un brano (a me son piaciute molto Raissa e Smeraldina).
Poi vabbè i ninnoli, gli animaletti e le caviglie insaponate nella bagnarola solo tuoi potevano essere; e anche la foto, naturalmente (l’hai scattata dal sentiero?)
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tu pensa che ninnoli l’avevo scritto con intenzione, mentre “animaletti di legno” è venuto dopo, così, in modo del tutto inconscio. cercavo qualcosa di tintinnante ma sopito e umile. adesso che me lo fai notare, sicuro è stato un riflesso condizionato. e ora mi fai venire il dubbio che forse “bagnarola” è meglio di “tinozza”..
complimento più bello non potevi farmi dicendo che per un attimo ti sei ingannata, ma sono andato a rileggermi le città che mi hai indicato e madonna, che perfezione Calvino. ogni parola dentro il racconto è come una goccia d’acqua in un temporale!
Smeraldina la ricordavo, Raissa no e mi chiedo come avessi potuto dimenticarla:
Eppure, a Raissa, a ogni momento c’è un bambino che da una finestra ride a un cane che è saltato su una tettoia per mordere un pezzo di polenta caduto a un muratore che dall’alto dell’impalcatura ha esclamato: – Gioia mia, lasciami intingere! – a una giovane ostessa che solleva un piatto di ragù sotto la pergola, contenta di servirlo all’ombrellaio che festeggia un buon affare, un parasole di pizzo bianco comprato da una gran dama per pavoneggiarsi alle corse, innamorata d’un ufficiale che le ha sorriso nel saltare l’ultima siepe, felice lui ma più felice ancora il suo cavallo che volava sugli ostacoli vedendo volare in cielo un francolino, felice uccello liberato dalla gabbia da un pittore felice di averlo dipinto piuma per piuma picchiettato di rosso e di giallo nella miniatura di quella pagina del libro in cui il filosofo dice: “Anche a Raissa, città triste, corre un filo invisibile che allaccia un essere vivente a un altro per un attimo e si disfa, poi torna a tendersi tra punti in movimento disegnando nuove rapide figure cosicché a ogni secondo la città infelice contiene una città felice che nemmeno sa di esistere”.
la foto l’ho scattata dall’altura del cimitero, aspettando il tramonto: novembre ha tanti pregi, ma rende il sentiero un po’ complicato se non ci vai vestito giusto. e io ero vestito da ferrovia. troppo comodo il treno per andare da dove i miei hanno la casa alle Cinque terre. e quando sei lì ogni mezz’ora ne passa uno che ti porta al borgo successivo, e tutti i borghi hanno stazioni che scendi dal vagone e sei affacciato sul mare
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