Mi prendo una pausa. Prima di formulare una notazione per l’estetica, devo stabilire un vocabolario per definire tutte le emozioni che riesco a immaginare. Molte delle emozioni che percepisco trascendono quelle dei comuni esseri umani, e mi rendo conto di quanto sia limitato il loro spettro affettivo. Non nego la validità dell’amore e dell’angoscia che ho sentito un tempo, ma attualmente li vedo per ciò che erano: al pari delle infatuazioni e delle malinconie infantili, hanno fatto solo da preludio a ciò che provo ora. Le mie passioni sono oggi molto più sfaccettate, perché con l’aumento della consapevolezza, tutte le emozioni si fanno esponenzialmente più complesse. Devo essere in grado di descriverle appieno, se voglio raggiungere i molteplici traguardi che mi sono prefissato.
In realtà, chiaramente, sperimento molte meno emozioni di quanto mi sarebbe possibile. Il mio sviluppo emotivo ha il suo limite nell’intelligenza di chi mi circonda, e nelle scarse relazioni che mi concedo. Mi rifaccio al concetto confuciano di ren: reso superficialmente come «benevolenza», è la qualità umana per antonomasia e può essere coltivata solo attraverso l’interazione con gli altri. Un individuo solitario non può certo manifestarla. E allora eccomi qui, ma per quanto ci sia gente dappertutto non esiste una sola persona con cui possa relazionarmi. Sono solo un frammento di ciò che potrebbe essere un individuo dotato della mia intelligenza.
Non voglio rifugiarmi nell’autocommiserazione, e neanche nella boria: posso giudicare le mie condizioni psicologiche con la massima obbiettività e coerenza. So precisamente di quali risorse emozionali dispongo e di quali invece sono privo, e so anche che valore attribuire a ognuna di esse. Non ho rimpianti.
Ted Chiang