Il padre padrone dei personaggi


Nel romanzo prevale l’analisi, nel racconto la sintesi. Ma non si può dire che il racconto sia un romanzo in sintesi, né che un genere sia superiore all’altro. Paragonare le dieci o venti pagine di un racconto breve alle duecento o trecento di un romanzo è una leggerezza. Calvino scrisse il suo primo romanzo in poco piú di un mese, ma impiegò tre anni a comporre il suo primo libro di racconti. Riprendendo lo spunto di Leone Piccioni, si potrebbe dire che la differenza fondamentale tra un genere e l’altro risieda nella direzione: quella del romanzo è orizzontale, quella del racconto, verticale; oppure, come i due modi della conoscenza secondo Galileo, che la prosa del romanzo è estensiva, mentre quella del racconto è intensiva. Anche per questo l’autore di racconti esercita uno stretto controllo sui personaggi e sul loro destino. Se agli autori di romanzi, come essi amano ripetere, accade spesso che i loro eroi si ribellino e agiscano secondo il proprio istinto dando origine a sviluppi imprevisti, nel racconto la situazione è diversa: l’autore è il padre padrone dei personaggi e non può tollerare obiezioni.

La necessità dell’autore di dominare l’intreccio si traduce in tensione, ovvero in intensità. L’intensità di un racconto non è una conseguenza obbligata della sua dimensione breve, ma il frutto della volontà dell’autore che esercita una vigilanza costante sulle proprie emozioni. L’esercizio richiede una tecnica, e la tecnica è preponderante in questo genere letterario. In una lettera al critico Aleksej Suvorin, il quale lo aveva accusato di essere troppo «oggettivo» nei suoi racconti, indifferente al discernimento del bene e del male e privo d’ideali, Čechov si difendeva indicando nel rispetto delle condizioni imposte dalla tecnica del racconto una necessità ineludibile: «Certo che sarebbe piacevole poter combinare l’arte con un sermone, ma per me personalmente è estremamente difficile, se non impossibile, dovendo rispettare le condizioni impostemi dalla tecnica. Per descrivere un ladro di cavalli in settecento righe devo costantemente pensare al loro modo e con la loro sensibilità, altrimenti, se introduco la soggettività, l’immagine diviene sfocata e il racconto non sarà compatto come tutti i racconti devono essere».

Il riferimento di Čechov alla «compattezza» rinvia a un’altra necessità del racconto: quella della soppressione di tutto ciò che non è strettamente necessario all’enunciazione del fatto, particolari o digressioni che avrebbero l’effetto di allentare la tensione. Naturalmente lo scrittore deve avere piena consapevolezza di ciò che sopprime e, soprattutto, l’abilità di lasciarne l’eco nella scrittura: la parte omessa avrà cosí l’effetto di rafforzare il racconto e il lettore la sensazione di leggere oltre il breve enunciato. Questa, che potremmo chiamare tecnica dell’omissione, è una caratteristica primaria della moderna short story, peculiare cifra stilistica di colui che l’avrebbe rinnovata creando un modello per molti scrittori della generazione di Beppe Fenoglio. In Morte nel pomeriggio, romanzo-saggio che ha per tema l’arte di scrivere non meno che quella di uccidere tori, Hemingway afferma: «Se un prosatore sa bene di che cosa sta scrivendo, può omettere le cose che sa, e il lettore, se lo scrittore scrive con abbastanza verità, può avere la sensazione di esse con la stessa forza che se lo scrittore le avesse scritte. Il movimento dignitoso di un iceberg è dovuto al fatto che soltanto un ottavo della sua mole sporge dall’acqua».


Luca Bufano

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