Tu, tra vent’anni


Il parco all’inizio della strada l’ho scoperto la prima settimana. Un parco in cui ci sono più esseri umani che alberi. I vecchi del quartiere si siedono in fila sulle panchine, come se fossero in esposizione in vetrine senza vetro.

Quando andiamo al parco, vale a dire quel triangolino al lato della strada, i bambini si precipitano in fondo verso l’altalena, in un punto affollato e polveroso come un angolo di inferno.

Amir e io passeggiamo, indicandoci il nostro futuro. Io scelgo sempre i vecchi messi un po’ meglio degli altri: non mi va di mostrargliene uno calvo, o magari cieco, e dirgli: – Ecco, quello è il tuo futuro.

In genere il mio vecchietto non è mai così curvo da non poter vedere la cima degli alberi. Magari ha le spalle fragili, ma nel suo sguardo – anche attraverso gli occhiali a fondo di bicchiere – si può ancora scorgere un lampo di interesse e di curiosità. Amir invece mi indica una donna anziana che sembra una busta di carta vecchia e stropicciata e dice: – Tu, tra vent’anni.


Fariba Vafi

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