Al sopraggiungere della notte


Ma poi era venuto il grande e giusto silenzio della campagna, acquietatisi gli uccelli, le vespe, tutti gli insetti, solo il fiume lontano restava con la sua voce malinconica. Anche le ultime campane si erano spente, i fiumi delle case tra gli alberi si andavano confondendo con l’ombra, e nel cuore ricordi, dolce tristezza, illusioni. Così le strade erano rimaste vuote, buio crescente ai quadrivi, umidi vapori uscendo dall’acquitrino lentamente. Si muovono a quest’ora dalla caverna, nel cavo del vallone, i fumosi briganti caldi di vino verso la grande strada coi loro schioppi? Oppure è loro quell’autocarro che ansima in salita e dilegua lontano?

Conviene adesso sprangare le porte ed è forse un male perché la notte non potrà più circolare liberamente fuori e dentro la casa ma, penetrando dalle fessure, si addenserà troppo nelle stanze. Lui però ha le spalle larghe e la faccia da vecchio soldato, la sera è ancora spensierata, anche lei a tavola chiacchiera agevolmente.

Però il tempo passa e ci si è fin troppo attardati leggendo e ricamando quando la pendola, fuori nel corridoio, suona. Chi la sentiva quando c’era il sole? Ora vibra nel buio con vecchie risonanze di bronzo e i vuoti angoli della casa rispondono. Come si sentono anche i passi di lei su per la scala. A metà si ferma. Le era parso. Niente, chissà che cos’era. Nella camera da letto la lampada dà una luce tranquilla.

Sale a dormire anche lui che ha le spalle quadre e di sopra nell’armadio un moschetto carico modello Mauser. Eppure col piede sul primo gradino, si volta. Naturalmente il corridoio è vuoto. Strano però: si direbbe esso aspetti che lui sia andato a dormire. Aspettano di essere soli i muri, il canterano nell’angolo, l’armadietto dei ferri, perfino le biciclette. Aspetta che non ci sia più nessuno pure il grigio pavimento di pietra: per i passi di chi? Troppa gente forse ha passato la vita qui dentro, nati, cresciuti, diventati grandi, invecchiati e morti, poi altri poi altri, qualche cosa a lungo andare hanno lasciato, qualche cosa di vago e sottile che nella luce del giorno si perde. O è invece il peso eterno di tutti gli altri viventi sulla nostra solitudine, solo che noi non riusciamo a capire e appena usciti dalla stanza ci voltiamo indietro di scatto e gli specchi ci rimandano una faccia strana?


Dino Buzzati

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